Le potenzialità delle microalghe nella depurazione dei reflui civili-urbani.

Le acque reflue urbane si caratterizzano per elevati contenuti di sostanza organica, solidi sospesi, nutrienti, diverse tipologie di sostanze tossiche e per la componente batterica. Tali proprietà impediscono il rilascio nei corpi idrici dei reflui tal quali e, per evitare importanti fenomeni di contaminazione dei recettori, è opportuno che i reflui stessi siano sottoposti ad appropriate fasi di trattamento e affinamento. Proprio per questo negli ultimi anni si stanno cercando trattamenti alternativi di depurazione che permettano di ridurre i costi, ma anche di riutilizzare la biomassa prodotta per altri fini.
Un ampio interesse si è sviluppato sulla coltivazione di microalghe, che presentano caratteristiche utili ai fini del biorisanamento, ma anche del biomonitoraggio di inquinanti tossici ambientali. Le ricerche sull’uso di sistemi microalgali-batterici sono iniziate negli anni ’50, ma a tutt’oggi i casi di realizzazioni su piena scala sono pochi e, ovviamente, concentrati in zone in cui il clima è particolarmente favorevole.

Sistema di coltivazione di microalghe (Raceway) presso l’impianto di depurazione di Bresso-Niguarda.
Qui viene presentato un esempio di applicazione del processo biologico basato sul consorzio alghe\batteri al trattamento del surnatante della disidratazione del fango (detto centrato perché prodotto per centrifugazione), uno dei flussi di scarto a maggior concentrazione di inquinanti all’interno degli impianti di depurazione. L’idea di fondo per una riproposizione a scala reale è quella di abbattere il carico di nutrienti nel refluo grazie ai processi metabolici svolti dalle due tipologie di microrganismi e di recuperare risorse attraverso la valorizzazione della biomassa prodotta. Questa viene infatti separata dalla fase liquida che può essere poi ricircolata in testa alla linea acque dell’impianto di depurazione di origine, ma con un carico inquinante ridotto. La valorizzazione della biomassa prodotta può avvenire, ad esempio, utilizzandola come co-substrato per la digestione anaerobica, con produzione di biogas, o applicandola al suolo come biofertilizzante/biostimolante o come substrato o sottoponendola a fermentazione per la produzione di bioplastiche.
Si tratta di un’integrazione al sistema complessivo di depurazione e non di un trattamento di base, in quanto il clima sfavorevole della pianura padana non renderebbe probabilmente impossibile o antieconomico il funzionamento di un processo basato sulla fotosintesi nei periodi autunno-vernini nei quali l’irraggiamento solare è scarso e la temperatura è bassa.
Con tale integrazione si intende ridurre l’impatto energetico e ambientale della filiera di trattamento dei reflui, e, di conseguenza, i costi di depurazione.
Il progetto, che vede coinvolti l’Università degli studi di Milano Bicocca e il Politecnico di Milano, ha previsto l’installazione e la conduzione di un High Rate Algal Pond (HRAP), o Raceway, direttamente all’interno dell’impianto di depurazione di Bresso-Niguarda (Mi).
Le microalghe inizialmente sviluppatesi sul centrato e immesse nell’impianto pilota sono state Chlorella spp. e Scenedesmus spp., tuttavia, nel corso dei mesi di sperimentazione, Chlorella è diventata il ceppo dominante. Al netto della variabilità osservata, durante la prova si è ottenuta una produttività media di 5 g TSS m-2d-1. Per quanto riguarda le rese rimozione dei nutrienti si è osservata una rimozione del 90% dell’azoto ammoniacale e dell’80% del fosforo. Si è osservato che l’abbattimento di circa il 30% dell’azoto ammoniacale in ingresso è dovuto a batteri nitrificanti (Ammonia oxidizing bacteria e Nitrite oxidizing bacteria) che hanno tratto sfruttato l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi microalgale per trasformare l’azoto ammoniacale in azoto nitroso e in azoto nitrico.
Molto interessante è quindi apparso il rapporto tra la comunità algale e quella batterica, che senza dubbio meriterebbe ulteriori approfondimenti per meglio comprenderne le dinamiche e le tipologie interattive.
Dal lavoro è emersa la fattibilità del processo proposto i cui vantaggi principali, in termini ambientali ed economici, sono da ricondurre alla produzione biologica di buona parte dell’ossigeno necessaria per l’attività dei batteri nitrificanti.