Un super food in pasto ai pesci

Alga spirulina alimento sostenibile al posto di soia e farine
Pesce fresco di mare o di lago. In futuro sarà sempre più un sogno. Su circa 34mila specie conosciute circa 2300 sono in pericolo: il 6,7 per cento come riporta la Red List della Iucn (The International Union for Conservation of Nature). Tra queste c’è, per esempio, l’anguilla, che in Italia negli ultimi dieci anni ha avuto un ridimensionamento del 90 per cento del pescato. La soluzione si chiama acquacoltura. Entro il 2030 le produzioni in Europa aumenteranno del 41% per le specie di acqua dolce e del 112% per quelle mediterranee. Con conseguente aumento del mangime del 46%. Numeri che crescono in contemporanea con il crescente appeal del pesce nella dieta a dispetto di un calo della carne.
C’è però un problema. L’acquacoltura si basa soprattutto su mangimi a base di farine e oli di pesce di origine oceanica, o di soia: produzioni poco sostenibili. Da luglio 2017, il regolamento 2017/893 dell’Unione Europea ha autorizzato per l’acquacoltura 7 diverse specie di insetti. Una soluzione però che non ha ancora preso piede, complici anche le difficoltà di ordine burocratico. Si sperimentano allora modelli alternativi, competitivi sui costi e sostenibili.
Uno, molto promettente, punta su mangimi a base di microalghe. L’obiettivo è sostituire una percentuale di farina e olio di pesce con farina a base microalgale per rendere l’acquacoltura più sostenibile e di qualità (la maggior parte delle alghe sono altamente proteiche e contengono potenti antiossidanti e omega-3).
L’Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani, con sede operativa a Rivolta d’Adda (Cremona), da diversi anni si occupa, tra le altre attività, di microalghe. “L’interesse per l’utilizzo delle microalghe in agricoltura, acquacoltura, mangimistica e non solo – commenta Marina Montedoro Direttore dell’Istituto – è sempre più sentito. Come Istituto cerchiamo di interpretare i bisogni dei settori in cui le microalghe possano essere valorizzate lavorando in un’ottica di economia circolare e fornendo, attraverso la ricerca, soluzioni innovative e servizi che rappresentino un’opportunità concreta per le aziende, avendo come obiettivi la sostenibilità, la tutela dell’ambiente e delle acque”.
L’Istituto sta attualmente testando dei mangimi per l’acquacoltura all’interno del proprio impianto a ricircolo, con delle prove alimentari su storione. In particolare, le sperimentazioni si stanno sviluppando all’interno di due importanti progetti che mirano al recupero di nutrienti mediante biotecnologia microalgale e valorizzazione della biomassa: il primo, Sabana (Sustainable Algae Biorefinery for Agriculture and Aquaculture), finanziato dall’Unione Europea, riunisce 11 partner di diversi Paesi europei, con capofila l’Università di Almeria. Il secondo, il Polo delle Microalghe, di cui Spallanzani è coordinatore, fa sistema con importanti enti di ricerca e istituzionali (Politecnico di Milano, Università Bicocca di Milano, Crea-Flc di Lodi, Ersaf, Provincia di Cremona) ed è finanziato da Fondazione Cariplo e Regione Lombardia.
Innovativa è poi una sperimentazione che lo Spallanzani sta conducendo su scotta – sottoprodotto della caseificazione – utilizzando diverse microalghe, tra cui la spirulina. Questa ambiziosa ricerca è frutto di una stretta collaborazione tra l’Istituto e le imprese del territorio, come il Caseificio “Il cigno” di Rivolta d’Adda (Cr), sia di collaborazioni internazionali (l’Università di Almeria), sia con grandi aziende (Veronesi, brand Aia). “Le sperimentazioni condotte presso i nostri laboratori – spiega Katia Parati, responsabile attività dell’Istituto – dimostrano che la scotta, oggi venduta a prezzi molto bassi agli allevatori di maiali, può essere valorizzata come medium anche per la crescita di spirulina, alga estremamente preziosa che trova un mercato sia fra gli integratori alimentari sia per l’estrazione di molecole bioattive (ficocianine)”. Insomma, la spirulina non solo è il cibo del futuro per gli uomini (l’Oms lo ha giudicato «Il miglior alimento per la salute del ventunesimo secolo») ma potrebbe esserlo per i pesci. Un ritorno alla tradizione per loro, costretti a un «menu» non proprio ideale a base di soia.
di Daniele Colombo
