La produzione di biopolimeri da biomassa algale accresciuta su reflui
Le microalghe possono essere impiegate a scopo di biorisanamento per la rimozione dei nutrienti da acque reflue di varia origine, tra cui i digestati di origine agrozootecnica, reflui suinicoli, o acque di processo dell’industria alimentare. Questi sistemi depurativi sono semplici (vasche all’aperto tipo raceway) e richiedono meno energia rispetto ai trattamenti convenzionali come gli impianti a fanghi attivi. Tuttavia, per aumentarne la competitività occorre trovare una soluzione interessante per la valorizzazione della biomassa algale prodotta.
Questa biomassa microalgale è caratterizzata da una composizione complessa e in continua evoluzione in risposta alle variazioni delle caratteristiche dei reflui trattati e delle condizioni meteorologiche. Normalmente è costituita da consorzi misti di alghe verdi e cianobatteri ed ospita batteri che contribuiscono al processo depurativo. E’ quindi inadatta all’estrazione di molecole ad alto valore aggiunto da destinare a settori quali la nutraceutica o la farmaceutica, ma può essere valorizzata nel settore agronomico, energetico o per la produzione di biopolimeri e bioplastiche.
Una strada potenzialmente interessante è stata valutata nell’ambito del progetto, grazie ad una collaborazione attiva tra Politecnico di Milano ed INNOVEN. Si tratta della fermentazione della biomassa algale ad acidi volatili da alimentare a consorzi misti di batteri selezionati per la loro capacità di assimilare questi acidi per biosintetizzare granuli intracellulare di poli-idrossi-alcanoati (PHA).
I PHA sono infatti poliesteri completamente biodegradabili che possono essere prodotti biologicamente a partire da risorse rinnovabili e sono inoltre l’unica tipologia di bio-plastica sintetizzata completamente da microrganismi. In base alla loro struttura, i PHA esibiscono un’ampia varietà di proprietà termiche e meccaniche ed hanno dunque un elevato potenziale di sostituzione nei confronti delle poliolefine convenzionali.
Le prime prove di fermentazione di biomassa algale ad acidi grassi volatili (VFA) hanno fornito ottimi risultati per consorzi algali costituiti in prevalenza da Chlamydomonas sp. con rese di acidificazione anche attorno al 45%. Valori meno promettenti si sono ottenuti dalla fermentazione di Scenedesmus sp. e Chlorella sp. che hanno richiesto un pretrattamento alcalino e portato a rese di acidificazione dell’ordine del 35%. Il fermentato così prodotto è stato utilizzato per la produzione di PHA presso INNOVEN Srl ottenendo una resa dell’ordine del 10%.
Il processo di conversione della biomassa algale in PHA, una volta ottimizzato nelle diverse fasi che lo compongono, potrebbe dunque diventare una interessante via di valorizzazione a sostegno delle politiche di sostituzione della plastica di sintesi con polimeri biodegradabili e prodotti attraverso processi rinnovabili.
A cura del Politecnico di Milano