Economia circolare, l’Italia è tra i primi cinque paesi in Europa
Soltanto nel settore del riciclo dei rifiuti, urbani e speciali, l’Italia può contare su 7mila piccoli impianti che creano lavoro e benessere, riducono sprechi e inquinamento, aumentano il benessere di intere comunità. E consentono di migliorare i nostri stili di vita. E questo è solo un piccolo pezzo del grande universo dell’Economia circolare, dove una volta tanto l’Italia non è nelle posizioni di coda rispetto agli altri paesi europei. Anzi, abbiamo un primato. E siamo in linea con uno degli obiettivi strategici dello Sviluppo Sostenibile indicati dall’Onu, alla base del lavoro e delle informazioni che diamo con il sito Non sprecare.
ECONOMIA CIRCOLARE IN ITALIA
Ma vediamo meglio, e con storie concrete, che cosa significa l’Economia circolare in Italia, quanto lavoro e innovazione produce, in quali settori sta crescendo in modo esponenziale. E come tutto ciò si riconduce anche ad una riduzione a 360 gradi degli sprechi.
ECONOMIA CIRCOLARE
Grazie al Circular Economy Network, che ha i suoi motori nella Fondazione per lo sviluppo sostenibile e nell’Enea, finalmente esiste un Rapporto completo sull’Economia circolare, dal quale vengono fuori tre risultati, due di segno positivo e uno di segno negativo. Innanzitutto l’economia circolare che ha una sua precisa identità, ovvero la creazione di ricchezza attraverso il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi e la riduzione degli sprechi, in Italia sta continuando a creare posti di lavoro. Nonostante tutto e tutti. Le persone che lavorano nei settori del riciclo, del riuso e della riparazione (tutti fortemente sostenuti dal nostro sito), valgono il 2,1 per cento del totale degli occupati in Italia, una percentuale ben più alta rispetto alla media europea, ferma a quota 1,7. In pratica, è dall’economia circolare che continuano ad arrivare nuove opportunità di lavoro, anche nelle regioni meridionali, le più colpite dalla cronica disoccupazione. Seconda buona notizia: nella classifica europea dell’economia circolare, «un sistema economico in grado di rigenerarsi da solo» (la definizione è della Ellen Mac Arthur Foundation), l’Italia, tra le prime cinque economie dell’Unione, è saldamente al comando con 103 punti, che misurano l’indice complessivo della circolarità per ciascuna nazione. Seguono il Regno Unito (90 punti), la Germania (88 punti), la Francia (87 punti) e la Spagna (81 punti). Ma purtroppo, e siamo al risultato di segno negativo, la crescita dell’economia circolare in Italia rallenta, come in generale l’intero quadro economico, mentre accelera ad alta velocità proprio nei paesi europei che stanno dietro di noi.
COS’È L’ECONOMIA CIRCOLARE
Ma vediamo da vicino, intanto, esempi e storie significative dell’economia circolare in Italia, in particolare in cinque settori.
Economia circolare nell’industria dell’arredamento
Materia che diventa poesia: con queste parole si sintetizza l’attività di Avanguardia, Associazione di promozione sociale con sede a Verona. Nata nel 2012 su iniziativa di Francesca Padovani, si occupa della comunicazione dei prodotti realizzati con materiali di recupero dalla cooperativa sociale Il Maggiociondolo. Il fine è di valorizzare il lavoro di persone che trasformano materiali considerati da gettare, in mobili e in oggetti d’arte. Si inizia con pallet usati, assi di barrique e altri elementi dell’industria dell’arredamento, resi ormai inutilizzabili dal tempo. Un lavoro di recupero che però non riguarda solo la materia prima, ma anche le persone in difficoltà: a realizzare i mobili e i complementi di arredo, infatti, sono disoccupati, detenuti in pena alternativa e giovani con problemi di tossicodipendenza e alcolismo. Per questo la materia si tramuta in poesia, unendo i valori dell’economia circolare a una progettualità che ricostruisce vite spezzate oltre che oggetti. Così, in tutte le nostre case e uffici esistono apparecchi, pensate ai computer, che hanno a che fare con il settore della Information technology, e spesso vengono smaltiti in modo assurdo oppure abbandonati: l’azienda Re-Tek si occupa di riciclare e riutilizzare l’hardware.
Economia circolare e plastica
L’azienda Cuki, nota da sempre come sinonimo di conservazione degli alimenti, premia l’impegno quotidiano dei cittadini italiani nella raccolta differenziata, con Domopak Spazzy, sacchetti della nettezza, prodotti utilizzando plastica riciclata e riciclabile. Attraverso un sofisticato sistema di recupero e riciclo del polietilene, l’azienda contribuisce ad abbattere i consumi di CO2 e di petrolio necessari per produrre materiale plastico nuovo. Una circolarità che si tinge di green. Come nel caso di Bio-On, impresa bolognese specializzata nella produzione di bioplastiche, principalmente per usi cosmetici, realizzate con residui e sottoprodotti agroindustriali, come resti di lavorazione di barbabietole e canne da zucchero. Una filiera sostenibile e biodegradabile al 100%. Interessante anche la storia di Splosh, che produce bottiglie per detergenti ricaricabili e sostituibili in modo gratuito.
Economia circolare in agricoltura
Da spreco a risorsa. Questa la filosofia alla base della circolarità in agricoltura, il cui obiettivo è dare una seconda vita a diversi tipi di scarti alimentari, limitando così la produzione di rifiuti. Ma non solo: con l’uso dei residui al posto dei prodotti freschi non si sottraggono più terreni alle coltivazioni e si abbattono i costi di produzione, grazie alla materia prima riciclata. A fare da apripista nell’agricoltura circolare sono soprattutto le startup. Dall’iniziativa di Adriana Santanocito ed Enrica Arena, due ragazze catanesi trapiantate a Milano, è nata Orange Fiber, azienda che crea tessuti sostenibili, sfruttando uno dei tesori agricoli più preziosi della Sicilia: le arance o, per l’esattezza, le bucce di arancia. Dall’uso di una particolare specie di fungo non commestibile, il cappello del Phellinus ellipsoideus, trattato senza l’impiego di sostanze inquinanti, deriva invece la pelle vegetale Muskin. A idearla è stata l’azienda Zero Grado Espace di Montelupo Fiorentino, in Toscana.
Economia circolare e cosmetica
L’altro settore che sta fornendo interessanti sorprese, a proposito di recupero degli scarti agricoli, è quello della cosmetica. Alcuni tipi di creme per contrastare l’invecchiamento della pelle, per esempio, funzionano bene grazie al contenuto che hanno di polifenoli e resveratrolo. Due sostanze presenti in dosi massicce negli acini dell’uva. Ecco perché, nel 2015, il Polo tecnologico della Cosmesi di Crema e l’Istituto di ricerca Lazzaro Spallanzani hanno deciso di studiare una tecnica per il recupero degli scarti della vendemmia, da convertire in materia prima per l’industria cosmetica. I primi residui a essere utilizzati sono stati gli scarti dell’uva della Franciacorta, messi a disposizione dall’azienda biologica Barone Pizzini. Ma l’elenco dei residui alimentari sfruttabili per la produzione di cosmetici naturali è lungo: dalle bucce di pomodoro ai pezzi di mela, dai resti della lavorazione dell’olio di oliva a quelli dei succhi di frutta. C’è chi chiama questo particolare settore della cosmesi “agribeauty”. Ma ciò che davvero conta è che anche l’industria dei prodotti di bellezza sta imboccando la strada dell’economia circolare, avvalendosi di preziose materie prime seconde, che altrimenti andrebbero smaltite.